La disabilità può aprire la strada a una nuova vita e ci sono le modalità per ricrearla: prima di tutto lo sport. Lo testimonia Fabio Raimondi che ha guidato la squadra italiana di Basket in carrozzina in due Paralimpiadi.
L’attività sportiva è un fattore trainante nel mondo della disabilità. Attualmente sono 28 gli sport paralimpici approvati ufficialmente dall'IPC (International Paralympic Committee): 22 per i Giochi Estivi e 6 per i Giochi Invernali. Tuttavia, solo il 9,1% di persone con disabilità pratica sport, rispetto al 36,6% relativo al resto della popolazione: c’è ancora molto da lavorare, ma il trend è positivo.
"Su qualsiasi motore di ricerca inserendo la parola “sport” escono immagini di persone alle prese con limitazioni fisiche: ormai la nostra vita è sempre più legata allo sport", sottolinea Fabio Raimondi, capitano per dieci anni della nazionale di basket in carrozzina. "Stare in casa è la cosa più sbagliata: grazie allo sport, da una vita precedente si può arrivare a una nuova modalità di vita. Credo di esserne l’esempio vivente. Ho costruito una vita e una carriera sullo sport. E appena entro in campo mi viene il sorriso. A undici anni mi sono ritrovato in sedia a rotelle, non camminavo più. Ho avuto la fortuna di incontrare le persone giuste, ho iniziato a lavorare con la palla. Ce l’avevo sempre addosso, era il mio bottone, 35 anni fa”.
Può esserlo per tutti? Ci sono miglioramenti nell’accesso alle attività sportive per le persone con disabilità?
“Per le persone disabili oggi è relativamente facile approcciarsi allo sport, spendendo anche di meno rispetto al passato. Può essere sport amatoriale – più facile in piscina perché non bisogna usare alcun mezzo– oppure più agonistico: in questo caso i riferimenti sono le federazioni che fanno capo al Comitato Italiano Paralimpico (CIP), ad esempio quelle di basket nuoto, tennis, handbike, rugby. Le Federazioni in questo momento si stanno muovendo in modo molto capillare e investono soprattutto sui giovani e con ottimi risultati. Ad esempio, quest’anno a luglio la Nazionale italiana Under 22 di basket in carrozzina ha vinto gli European Para Youth Games per la prima volta nella sua storia”.
Da dove si inizia?
“Anche nei centri di Unità Spinale. La prima cosa che i professionisti dicono al loro paziente è di iniziare a praticare un po’ di sport. Aiuta mentalmente, aiuta a riattivarsi. Se dopo una visita medica sportiva è tutto ok, si decide e si parte”.
Molti chiedono: perché praticare sport se ho una disabilità fisica? Invece, perché è fondamentale?
“Lo sport fa bene. Spinge a uscire di casa, ti diverti, ti fa avere una programmazione e degli obiettivi, migliora l’inclusione: si entra nello spogliatoio, scambi opinioni con gli altri, si condividono i problemi e i progressi. Poi, naturalmente, la pratica sportiva fa uscire la nostra parte più competitiva: chi va in campo o in piscina per perdere? Lo sport è sfidante, bisogna superare il proprio limite, ma non è una terapia: è una sfida con te stesso per cercare di recuperare le tue autonomie. Vedo molte persone che, prima dell’infortunio, erano disinteressate allo sport avvicinarsi alla pratica sportiva. A quel punto può scattare il meccanismo di volere di più: sarà la singola persona a decidere che cosa vuole diventare, magari dotandosi di attrezzature più evolute.”
Si esce di casa, si impara a fare fronte alle proprie esigenze: quanto è importante la possibilità di incontrare persone, di socializzare?
“Certamente lo sport è un motivo di socializzazione, lo osservo ad esempio nei bambini disabili portati nella pratica sportiva. Anche le loro famiglie sono più inclini a socializzare, tutti entrano in una dinamica diversa che fa stare meglio il genitore e il bambino. L’aggregazione, inoltre, fa scattare meccanismi relazionali differenti anche all’interno della scuola. Le percentuali di adesione allo sport sono molto alte soprattutto in tenera età. A una certa età sembra più difficile. Si pensa: perché, se non ho fatto sport prima, dovrei farlo adesso? A queste persone io dico che se deve andare a fare fisioterapia, è bene che faccia anche sport per avvicinarsi a una vita più normale. Fare sport vuol dire anche prendere un treno, vestirsi e lavarsi da solo, andare al ristorante. Ci sono gli esempi da seguire: nelle squadre basta copiare quello che fanno gli altri. La nostra esperienza, quando viene richiesta, viene condivisa con gli altri. Puoi dire: guarda, forse se fai così è meno difficile…”.
Quali sono adesso gli sport più praticati?
“Sicuramente il basket in carrozzina, uno sport che ha una grande tradizione in Italia. È importante il nuoto, anche perché quando si fa riabilitazione all’inizio ti mettono in acqua. Ha meno vincoli, perché non devi utilizzare alcun mezzo. Il rugby attualmente viene sempre più praticato da persone con disabilità almeno su tre arti: molte persone che hanno subito amputazioni di gambe o di mano oppure tetraplegici. Un giocatore di basket non potrebbe giocare a rugby, perché la base dello sport è proprio la mano. In grande evoluzione adesso la handbike. Da un paio di anni gli sport paralimpici sono entrati anche nei corpi di Polizia e Carabinieri. Dobbiamo proseguire su questa linea, anche ricercando sempre più visibilità sui media”.